INCIDENTE SUB A CAPO NOLI
Gli incidenti subacquei accadono, non fosse altro perchè un piccolo problema in superficie è comunque e sempre un po' più grande in immersione; gli incidenti accadono ed accadranno in futuro, quindi è assolutamente inutile cercare una causa per l'avvento di essi se non per pianificare o perfezionare le tecniche utili a risolvere lo stesso problema in futuro semmai dovesse re insorgere. Parlarne non deve essere quindi l'occasione per assecondare la brama di sapere dell'accaduto, per lenire il pruriginoso desiderio di avere notizie su un fatto nefasto risoltosi al meglio (come in formula 1, allorquando è l'incidente spettacolare a far notizia più che la gara ed il sapere vivo il pilota rincuora gli animi), ma un metodo costruttivo per condividere gli aspetti positivi di una esperienza negativa; con questo spirito espongo il fatto.
Domenica 21\02\10, tre esperti subacquei si immergono da riva in una luminosa giornata priva di vento e con mare calmo, piano d'immersione compilato correttamente, attrezzature adeguate, pianificazione delle contingenze espressa, segnalatori di superficie e kit d'emergenza disponibili (le indicazioni delle didattiche, come quelle della capitaneria, sono un primo passo per la salvaguardia personale e del gruppo, perchè l'immersione comincia molto prima che si entri in acqua); per ulteriore sicurezza si decide l'ingresso da davanti al diving in quanto la visibilità fino a -13mt è pessima.
Alla quota prevista si cambia rotta girando di 90° per non inoltrarsi troppo in mare aperto, quindi sopraggiunge un intoppo: uno dei sub ha un problema con l'aria e lo segnala correttamente con grande calma (BRAVO!!!) permettendo la soluzione in pochi istanti (in immersione qualsiasi problema, tranne l'assenza di gas, è risolvibile ed una corretta comunicazione riduce i tempi per farlo), si decide quindi di chiudere l'immersione ritornando verso la riva ma qui un nuovo intoppo: siamo troppo al largo ed impieghiamo troppo tempo per raggiungere la base della spiaggia (è bene ricordare che si deve interrompere ogni altra attività quando si decide il rientro coatto), si opta per una risalita nel blu per raggiungere quote meno impegnative che evitino un ulteriore accumulo di azoto e lentamente si risale fino a raggiungere la quota prevista di -20mt, ma qui succede il patatrac:
Come già scritto, senza voler indagare sulle cause che l'hanno determinato ma valutandone gli effetti, l'incidente si sviluppa a quella quota: un componente del terzetto ingolla una boccata d'acqua che attiva istantaneamente il panico (unico vero nemico di ogni sub, anche il più esperto), ricevuta subitamente una fonte d'aria dal compagno non riesce però ad inspirare in quanto la trachea è piena d'acqua e la sensazione immediata è di ingerire ancor più liquidi (inutile ricordarlo, nell'erogatore si può e si deve tossire all'occorrenza, la sensazione di soffocamento che ne deriva è ENORME ma è comunque meno problematico che rimanere senza aria!!!), il panico è totale, recupera un altro erogatore dal compagno con un gesto istintivo (non può esserci appello: mors tua, vita mea), ma a nulla vale il tentativo di questi di tenerglielo premuto in bocca, lo sputa nell'affannosa ricerca di aria; frattanto il primo erogatore con frusta lunga usato in emergenza ed abbandonato appeso alla rubinetteria inizia ad erogare in "continua" in un'apocalisse di bolle che rendono ancor più confuso il concitatissimo momento. Non c'è più niente da fare se non uscire immediatamente, consapevoli dei rischi, trascinando il corpo esanime dell'infortunato verso la superficie grazie alla prontezza del terzo sub (non ha perso lucidità: BRAVO!!!); ci si espone volontariamente a tutti i rischi di una MDD per l'omissione della tappa di decompressione e fattore ancor più preoccupante, per la velocità di risalita incontrollata (pallonata).
In superficie, recuperato e rivoltato il corpo esanime dell'infortunato, è stato abbozzato un tentativo di respirazione bocca a bocca, risultato ovviamente infruttuoso visto lo stato di quasi annegamento della vittima e si è preferito raggiungere la riva al più presto, in minima parte rincuorati dai rantolii emessi; tempestivo l'intervento dei clienti del diving accorsi alle grida di "aiuto!" che l'hanno trascinata all'asciutto dove il titolare del Dive'n Joy già attendeva con la bombola dell'ossigeno per la somministrazione in attesa dei paramedici.
L'infortunato si riprende autonomamente, rigurgita litri d'acqua e pian piano riprende conoscenza. Immediato il trasferimento in ospedale sia per il quasi annegato che per i soccorritori, che così provano l'ebbrezza di una immersione ripetitiva a -18mt per 2 ore e mezza in ambiente asciutto, nel confortevole scenario della camera iperbarica di Genova.
Per questa volta tutto si è risolto al meglio o, quanto meno, al meno peggio; anche per la vittima che, tengo a precisare, è tutt'altro che sprovveduta e che, conscia che un incidente può capitare a chiunque, non mancherà certo di superare anche psicologicamente questo brutto momento.
Sentitamente ringrazio:
Il sub soccorritore: che col suo comportamento ha evitato che le cose volgessero al peggio, che con prontezza ha reagito alle indicazioni, che con competenza ha gestito il problema nella misura in cui gli competeva, che ha evitato che il livello di stress accumulato gli facesse perdere concentrazione o lo inducesse al panico (non voglio neanche immaginare uno scenario di quel tipo con più di un problema in essere)
Flavio: responsabile della formazione subacquea di quel subacqueo, che indirettamente ha contribuito ad evitare il peggio (un istruttore serio e professionale forma uno staff affidabile e professionale)
Riccardo: titolare del diving Dive'n Joy di Noli che si è attivato ed ha attivato il SME coordinando il salvataggio a terra.
Giorgio: che insistendo fin dai primi brevetti fino al parossismo su valori concreti per la sicurezza (leggasi: assetto, calma, preparazione, assetto, competenza, sicurezza, assetto) ha indirettamente contribuito ad evitare il peggio.
il mare: che non ci ha voluto tener con se e che ci preferisce quali occasionali ospiti
la vittima: che nonostante un piccolo periodo di inattività, non ha smesso di respirare e che desidero continuare a ringraziare per questo motivo.
APPENDICE
ATTACCATI DAGLI SQUALI A CAPO NOLI
Mi è doveroso specificare che l'attacco è sopraggiunto postumo all'incidente di domenica e che sfortunatamente è stato perpetrato da esseri spregevoli che nulla hanno a che fare col mare: i giornalisti.
Provate ad immaginare la rabbia nel ritrovarsi fra le righe di un quotidiano, con tanto di nome ed altri dati personali, in un discutibilissimo articolo privo di fondamenti concreti ed innegabilmente espressione di una palese pubblicità (quantunque meritoria) più che a racconto di cronaca. Si sa, il lavoro di questi squali di terra è (haimè) quello di solleticare il morboso nei lettori, noncuranti del resto, tanto da sentirsi in diritto di redigere un articolo fondato solo su presupposti e racconti riportati.
Menzione particolare soprattutto a chi in ospedale si è venduto i nostri dati personali, proprio in quel presidio dove "per la privacy" eravamo chiamati con un numero anziché col nome e dove per poter essere visitati abbiamo dovuto firmare faldoni di liberatorie e fogli illeggibili. (!!!)
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